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Muse @ PalaIsozaki Torino 4.12.09 : foto e recensione del concerto

9 dicembre 2006: mi trovavo sotto la neve di Monaco a battere i denti aspettando che lo Zenith aprisse i cancelli. 4 dicembre 2009: scongiurando perché non piova o nevichi anche questa volta, mi ritrovo a congelare aspettando che il PalaIsozaki apra i cancelli. Molti déja-vu e una costante: dall’altra parte della barricata mi aspettano i Muse.

Dopo ore passate a saltellare come pinguini per non perdere la sensibilità agli arti inferiori, arriva il momento dello scatto felino: cancelli aperti, biglietti strappati, banchetto del merch, banchetto dei paninari, cerca il guardaroba: appena entri a destra; scusi il guardaroba? appena entri a sinistra, guardaroba si, guardaroba no: se al PalaOlimpico esiste, di sicuro sta giocando a nascondino e io non ho tempo da perdere. Tengo con me armi e bagagli e corro alla conquista di un posto degno.

Volere è potere recita uno dei classici mantra, e infatti eccomi qui: seconda fila, lato destro del palco. Fortunatamente la security non fa storie per lasciarci gettare malamente giacche e zaini oltre la transenna (diversamente dal Rock in Roma, aggiungerei). Ok, è andata, adesso puoi respirare. Mi guardo attorno, le tribune si popolano, gli striscioni vengono appesi: alcuni davvero carini (MyouSE electrify our lives), alcuni un tantinello meno poetici (United States of Porchetta); molte chiome colorate: avvisto un paio di revivalisti degli esperimenti cromatici del Bellamy Old School e poi una decina abbondante di parrucche rosa e fuxia (per scoprirne il significato, cercate su youtube qualche video live del concerto del 30 maggio 2007 a Firenze).

Aprono i Biffy Clyro: se non fosse che a seguire c’è quel power trio dei Muse, verrebbe da pensare che sono loro gli headliner del concerto, altro che supporter band! Fin da subito mettono le cose in chiaro facendo capire che loro su un palco ci sanno stare e, soprattutto, sanno come obbligarti a mantenerci lo sguardo incollato. Certo, mettere in bella mostra il torso nudo di Simon e i suoi tatuaggi è una strada facile, non è che si faccia tutta questa fatica a seguire la sua schizofrenica figura sul palco, ma c’è dell’altro, ben altro: ritmo, sound, voglia di spaccare… quello che volete! I pezzi del loro set, breve ma intenso, sono trascinanti e il modo in cui Simon si contorce e accanisce sulla chitarra è ipnotico. Ci scappa anche un micro incidente in diretta quando uno stage assistant ha la sfortuna di trovarsi nella traiettoria di volo di Simon che spicca il salto dagli amplificatori a lato drum set: si sa, bisogna fare attenzione alla foga del live.


L’intervallo per il cambio palco è condito da annunci –inascoltati– con cui si avvisa che lo show verrà ritardato finché i corridoi sugli spalti non saranno  stati liberati: un pensiero unanime si solleva dal parterre “alzatevi da quei maledetti gradini!!”. Nel frattempo con un’inondazione umana, davvero inquietante vista dalla mia postazione, il parterre viene ulteriormente farcito –il perché resta un mistero. Non mancano cori di allenamento per il NO B-day di sabato che alla fine non sono nemmeno troppo fuori luogo: del resto è pur sempre l’ultima data del The Resistance Tour…

E poi via, con una scossa elettrica che ti attraversa la spina dorsale le luci si spengono, i maxischermi che avvolgono le tre colonne luminose si animano: una schiera di figure umane che salgono le scale per poi lasciarsi cadere nel vuoto sono il preludio all’inizio dello show. Si parte con Uprising, si parte a mille, si continua con una setlist di altri 21 pezzi con cui già prima della quarta canzone ti ritrovi felicemente senza voce, otto brani tratti da The Resistance più regali per il pubblico come Butterflies&Hurricanes e Sunburn, chicche drum&bass come Nishe e Helsinki Jam con cui Chris e Dominic ci ricordano che Bellamy non è l’unico mostro sacro del trio.

Come si può facilmente dedurre dallo stile cyber kitsch del video di Undisclosed Desires, i Muse hanno un malcelato gusto per la tamarraggine che trova la sua massima espressione negli occhiali luminosi con cui Matt apre il concerto, ma questo importa poco quando su un palco sanno mettere in piedi uno spettacolo micidiale che riesce a sviscerare ogni singola molecola del tuo organismo per farla saltare, cantare e delirare.

Quest’atmosfera esaltante viene parzialmente spenta da individui pesantemente calati che mi ritrovo accanto: una coppia di over 40 talmente sfatta da far preoccupare la security che si avvicina alla donna chiedendole se sta male e ha bisogno di qualcosa (no guarda, non è la calca del concerto ad averla ridotta così, tranquillo…) e aggiungiamo poi un trio particolarmente insopportabile comparso alle mie spalle durante Undisclosed Desires ad urlare versi senza senso sopra le parole di Matt e molestando rovinosamente il resto dei fan. Ma in certi casi il pogo viene in nostro aiuto e con molta nonchalance riusciamo a sfogare un po’ di sana cattiveria e vendetta assestando gomitate, pestate di piedi e quanto dettato dall’ispirazione del momento. La tattica funziona: il trio cambia posizione. Ma senza istinti omicidi e sete di sangue, il pogo fra le prime attivissime file riesce a rivelarsi anche un momento selvaggio e liberatorio che si conclude fra risate e scambi di contatti su facebook.

Potrei ancora parlare del palco che doveva ruotare a 360° ma che in realtà ha ruotato raramente, o di Chris per il quale, una sigaretta dopo l’altra, suonare a tre metri di altezza non doveva sembrare molto diverso da una serata in sala prove, o dei palloni farciti di coriandoli lanciati sul pubblico durante Plug in Baby (saranno avanzati dallo scorso tour? ) ma giuro, poi non sarei più in grado di fermarmi: c’è troppo da dire, troppo da raccontare e commentare dopo un concerto dei Muse…

Esco dal Palaolimpico e non so descrivere come mi sento: così piena di immagini, emozioni, carica e allo stesso tempo svuotata da ogni altra sensazione, un sacchetto vuoto in balia del vento. Sarà la tristezza o la malinconia post concerto che aspetta impietosa al varco, poco importa: ci si rimette per strada affrontando la nebbia per tornare a casa e all’autogrill è fin troppo facile riconoscere altri reduci come noi quando le dita accennano l’intro di New Born sui tasti di plastica di una tastiera giocattolo…ragazzi, che concerto!

(c) photo credits: Michela Castelluccio

Denise Cucci