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MEI 2009:immagini, resoconti, impressioni sulla tredicesima edizione del meeting degli indipendenti

Pensieri sconnessi e a tratti sovrapposti, un post sbornia che inizio a smaltire solo dopo due giorni: ecco cosa è stato per me il MEI. E credetemi, è indicibilmente difficile trovare il bandolo della matassa all’interno del caos mentale accumulato lo scorso weekend: se fossi un computer in questo momento comparirebbe un pop-up lampeggiante a gridare“OVERLOADED” tanta è la mole di stimoli, informazioni ed imput raccolti nell’arco di 72 intensissime ore.

Partiamo dalla definizione: nel caso non sapeste cosa stanno ad indicare queste tre lettere maiuscole, basta sfogliare le pagine virtuali di google per scoprire che si tratta del Meeting delle Etichette Indipendenti, che si tiene a Faenza e che dura tre giorni. Quello che invece potete scoprire solo vivendolo sulla vostra pelle è che il MEI, per musicisti, artisti o semplici fanatici come la sottoscritta, è un luogo di perdizione che ospita contemporaneamente l’Inferno e il Paradiso.

È il Paradiso perché in questi tre giorni a Faenza la musica si espande e infetta ogni singolo atomo: si vive musica a 360 gradi, per strada, al bar, al ristorante, nel parcheggio. E questo senza considerare la fiera vera e propria: tre padiglioni straripanti di tutto –mini succursali mobili di emittenti radiofoniche, label, operatori, rappresentanti di premi e concorsi, espositori, strumenti musicali, facce note e facce sconosciute, birra, guitar hero, musicisti, musicisti, musicisti, musica, musica, musica, rumore. E poi conferenze, dibattiti, concerti, premiazioni, e i tendoni.

E qui si affaccia l’Inferno.

I tendoni ospitano concerti –praticamente– nonstop dal mattino (talvolta a orari discutibili) fino a sera, le condizioni per le esibizioni delle band non sono propriamente ottimali (ambiente esteticamente asettico, scarso coinvolgimento degli organizzatori, carenze e generica e diffusa disorganizzazione) e la sensazione generale è che si voglia fare un po’ di tutto, tutto assieme e senza troppa convinzione.

Al MEI si è testimoni dello scontro fra due correnti di forza uguale e contraria: da un lato l’esuberanza alimentata dall’entusiasmo di chi cerca qui un’occasione per muovere quel passo decisivo verso l’obiettivo di una vita, dall’altra il disincanto di chi al MEI ormai è di casa e non si aspetta più un granché. Belle speranze, determinazione e occhi luccicanti contro sbuffi stanchi e annoiati e mal di testa.

Eppure, in questo pandemonio circense in cui mi ritrovo persa come Alice nel Paese delle Meraviglie, la mia testa trova lo spazio per cristallizzare flash e immagini animate: l’allegria della P-Funking Band, l’impressionante abilità vocale ed espressiva di John De Leo e la suggestiva performance dei Musica Nuda al Teatro Masini; i 18 minuti e mezzo di set deiTwo Left Shoes, ai quali spetta una menzione d’onore che va al di là della più che discreta performance (e ripeto, le condizioni erano tutto meno che ottimali per le band che si esibivano):  succede infatti che una maledizione cali sul gruppo sotto forma di un’ernia del disco che colpisce uno dei chitarristi, Luigi. Ma nulla dei suoi tormenti interiori viene lasciato intuire al pubblico che si gode, invece, in piena libertà i ritmi spensierati dei loro brani, classicamente indie-rock tanto nel concept quanto nella realizzazione.

Ci spostiamo al tendone E, colonizzato da Indipendulo, una matrioska musicale, un festival nel festival dove ci vengono riservati momenti musicalmente epici come lo show dei Thank You For The Drum Machine –imperdibile! – il set dei No Seduction –visceralmente coinvolgenti –e last but not least i superbi Trabant.

Impossibile non spendere due parole di merito per l’organizzazione di Indipendulo che, per uccidere sul nascere i tempi morti, ha pensato bene di suddividere in due metà distinte il palco in modo da procedere ai vari cambi palco su una delle due metà mentre al lato opposto si procedeva con le esibizioni: una soluzione che, per quanto non esteticamente appagante, ha garantito continuità allo spettacolo eliminando i frustranti tempi di attesa che il pubblico dei festival è ormai rassegnato a subire.

Lascia l’amaro in bocca –e non è un gioco di parole– l’essermi persa la performance degli Amarima purtroppo altri impegni in altri luoghi reclamavano la mia presenza, indi(e) per cui…sarà per la prossima occasione!

Ci sarebbe ancora molto, troppo da raccontare, ma il rischio è che il pop-up urlante compaia anche sui vostri schermi cerebrali, per cui decido di fermarvi qui. Ma se la musica per voi è qualcosa di più di un semplice divertissement occasionale, vi consiglio vivamente di calpestare questi pavimenti lerci e umidicci almeno una volta nella vita e sottoporvi, come ho appena fatto io, a questa impagabile ed imperdibile tortura.